Nella frenesia della vita moderna, gli insegnamenti dei filosofi e dei maestri di yoga del passato rappresentano una fonte preziosa di saggezza alla quale attingere.
Siamo bombardati da continue emozioni, da stimoli che arrivano da ogni parte e spesso non siamo in grado di gestirli perché non abbiamo il tempo sufficiente per elaborarli. Questa situazione porta ad una condizione di stress, di infelicità di insoddisfazione e di frustrazione. A lungo andare si creano degli scompensi che si riflettono nel corpo e nella mente, portando spesso a malattie fisiche e psicosomatiche.
Lo yoga che, a differenza di ogni altra disciplina, si occupa non solo del corpo ma anche della mente, ci costringe a rallentare mettendoci a disposizione una serie di strumenti per poter raggiungere uno stato di un’unione, armonia ed equilibrio tra queste due sfere che ci compongono.
Questo tempo prezioso che ci concediamo è il più bel regalo che possiamo farci e, se perseguito in modo costante e consapevole, avrà sin da subito un effetto positivo sul nostro benessere e sulla nostra salute. Ci permetterà di creare una base solida alla quale attingere per gestire gli eventi imprevedibili della vita con maggiore forza, chiarezza e determinazione.
La pratica non deve essere qualcosa di passivo. Infatti partecipare ad una lezione di yoga implica un coinvolgimento attivo del praticante che si deve aprire ad una volontà di ascolto profondo, a rimanere agganciato al momento presente attraverso il respiro, senza farsi portare via dei pensieri che sempre arrivano a disturbarci e ad allontanarci da noi stessi. E allora coltiviamo anche la capacità di lasciarli fluire senza soffermarci su nessuno di essi e così, come arrivano, se ne vanno .
Il grande filosofo Patañjali, nel suo testo “Yoga Sūtra”, ci insegna che il cammino dello yoga parte da due principi fondamentali: la pratica costante (Abhyasa) e la capacità di lasciar andare il superfluo, di coltivare il distacco e il non attaccamento (Vairagya).
La pratica costante (Abhyasa) ci porta a non perdere mai la via; richiede disciplina, perseveranza, forte intenzione, ovvero tutte qualità che portano centratura, forza e stabilità.
Vairagya, che in sanscrito significa “decolorazione” , è la capacità di prendere il distacco da quei condizionamenti che ci portano a ripetere ciclicamente le stesse azioni così da aprirci a nuove strade mai percorse; è il lasciare andare che ci aiuta a gestire in modo più saggio le emozioni perché esse si svelino nel loro significato più profondo. Solo così ci si prepara all’azione, al cambiamento, alla trasformazione, alla crescita, alla ricerca della propria strada. Lasciare andare permette di svuotarci del superfluo per fare emergere l’essenziale, per ripulire e detossificare costantemente corpo e mente così che tutto ritrovi una propria armonia e chiarezza come un puzzle che si sta per completare.
Lasciare andare o distaccarsi ci aiuta ad allenare la capacità di mollare la presa. Succede infatti che, proprio nelle situazioni di maggiore stress, ci risulta difficile prendere la giusta distanza da un problema anche se questo distacco è estremamente necessario per “lasciarlo decolorare”, per vederlo in modo più obiettivo.
Chi si avvicina allo yoga deve essere consapevole che senza Abhyasa e Vairagya non è possibile ottenere l’obiettivo che lo yoga si prefigge cioè uno stato di benessere, di chiarezza, di gioia, di pace, di libertà.
L’asana stessa e’ una rappresentazione di questi due principi: la stabilità, la forza, l’intenzione e allo stesso tempo anche la capacità di lasciare andare. E così , come afferma Patañjali, nell’asana bisogna trovare il giusto equilibrio tra sforzo e rilassamento, due opposti che devono trovare un loro punto di incontro (sthira shukam asanam).
La pratica diventa così un appuntamento che concediamo a noi stessi per ritrovarci, rafforzarci, trasformarci e crescere nel rispetto di ciò che siamo.
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